LE CONVENZIONI CONTRO LE DOPPIE IMPOSIZIONI FISCALI

Le convenzioni contro le doppie imposizioni fiscali

A cura di Dott.ssa. Emiliana Maria Dal Bon ©, consulente del lavoro  – Studio Dal Bon

Come abbiamo visto, il rischio connesso alle regole in materia fiscale è che il lavoratore italiano distaccato all’estero, se fiscalmente residente in Italia, possa essere tenuto a pagare le tasse, sul medesimo reddito, due volte: una in Italia e una all’estero.

Con l’intento di limitare il peso economico di una tale previsione, l’Italia ha stipulato con numerosi Paesi altrettante Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni fiscali.

La quasi totalità di queste sono state sottoscritte aderendo al Modello di Convenzione sviluppato dall’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), cosa che ha garantito un’uniformità della disciplina in materia molto rilevante.

Nei casi in cui sia vigente una Convenzione contro le doppie imposizioni fiscali è possibile, al rispetto di determinate condizioni, che il reddito da lavoro dipendente prodotto in uno Stato diverso da quello di residenza sia tassato solo in quest’ultimo Paese.

Nel il caso di un soggetto residente in uno stato ma che lavora in un altro stato (legato al primo dalla Convenzione), il modello Ocse stabilisce che il reddito può essere tassato solamente nello stato di residenza, se sono rispettate tutte le seguenti condizioni:

  1. il lavoratore soggiorna nello Stato estero PER MENO DI 183 GIORNI (corrispondenti alla maggior parte del periodo di imposta, che diventano 184 negli anni bisestili) nel corso dell’anno fiscale;
  2. la retribuzione è pagata da (o per conto di) un datore di lavoro non residente nello Stato in cui è svolta la prestazione lavorativa;
  3. l’onere della retribuzione NON è sostenuto da una STABILE ORGANIZZAZIONE DEL DATORE DI LAVORO NELL’ALTRO STATO.

Come si può vedere, la cittadinanza del lavoratore è assolutamente irrilevante.

Nel caso in cui, però, si superi il limite dei 183 giorni (o non sia realizzata una delle altre due condizioni) il reddito da lavoro dipendente sarà sottoposto alla doppia imposizione fiscale per tutto il periodo d’imposta, che non può essere in nessun caso frazionato.

La doppia imposizione fiscale sul medesimo reddito da lavoro dipendente si può quindi avere quando:

  1. il lavoratore sia residente fiscalmente in Italia e tra l’Italia e lo Stato estero di esecuzione della prestazione lavorativa non sia in vigore alcuna Convenzione contro le doppie imposizioni;
  2. se il lavoratore, fiscalmente residente in Italia e distaccato in uno Stato legato all’Italia da una Convenzione contro le doppie imposizioni:
    1. soggiorna per più di 183 giorni sul territorio dello Stato estero;
    2. viene pagato da (o per conto di) un datore di lavoro residente nello Stato in cui è svolta la prestazione lavorativa;
    3. viene pagato da un datore di lavoro che ha una stabile organizzazione del datore di lavoro nell’altro stato.

Allo scopo di attenuare le conseguenze di una doppia imposizione fiscale, indipendentemente dalla vigenza o meno di una Convenzione internazionale, il Legislatore italiano ha stabilito che il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di 12 mesi soggiornano nello stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali.

Con la stessa ratio è prevista la possibilità di richieste il credito d’imposta: se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione. 

In base a ciò, le imposte pagate all’estero sono detraibili solo in parte, e sono ammesse in detrazione fino alla concorrenza della quota d’imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo, al netto delle perdite di precedenti periodi d’imposta ammesse in diminuzione.

Il credito per le imposte pagate all’estero spetta fino a concorrenza della quota d’imposta lorda italiana corrispondente al rapporto tra il reddito prodotto all’estero ed il reddito complessivo e sempre comunque nel limite dell’imposta netta italiana relativa all’anno di produzione del reddito estero.

A cura di Dott.ssa. Emiliana Maria Dal Bon consulente del lavoro  – Studio Dal Bon –

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